Valter Lauri

Valter Lauri è nato a Firenze il 1° Dicembre del 1944. L’infanzia e parte dell’adolescenza la passa a Livorno. Poi si sposta a Milano. Presta il servizio militare in Marina, a cui seguono quattro anni di navigazione, come marittimo.
Si sposa e ha un figlio, Alenis. Dopo il divorzio, ritorna a navigare. E poi camionista e poi in pensione.
Ha iniziato a dedicarsi alla poesia tardi.
Ha fatto letture in varie serate e festival. È curatore della rassegna “Percorsi Di – Versi”.
È impegnato nel volontariato, nel campo della salute mentale


Prosastiche, liriche, ironiche e a volte istrioniche,
le poesie di Valter Lauri sono caratterizzate da una
lingua mutevole e da atmosfere variegate.
Come elemento costante, però, emergono esperienze
difficili e dolorose, che sembrano in certi momenti
placarsi in una serenità precariamente raggiunta,
mentre in altri sottolineano un senso profondo e
tenace di attaccamento alla vita.
Francesco Tomada
Edizioni Culturaglobale
versi_diversi
Collana di Poesia Contemporanea
ISBN 978-88-95384-21-4
La valigia del nostromo

La Valigia del Nostromo
Ecco la mia valigia
colma di cordami,
di guardapalma,
di aghi che nei mesi
attenueranno lo strappo,
di urla di disperazione
da prua a poppa.
Il nostromo è rozzo,
per definizione,
amaro e spremuto.
Occhi appartati,
capelli grossi di sale,
mani di canapa.
La valigia del nostromo
piange gli errori
ride agli errori.
La valigia del nostromo
trasporta l’onda dell’uomo
senza famiglia,
il vento della voce di mio figlio,
un petto assetato di tornare.
La valigia del nostromo
ha un nome solo quando è a terra,
quando è riposta vuota sull’armadio.

 
Parco Basaglia 2012

Com’è verde questo Parco Basaglia
ricordato da tutti come luogo nero
i vecchi come un luogo da evitare
dove “ci stanno i matti”
dove non entravano neppure ad essere parenti
dove l’urlo era il canto degli uccelli
che stavano seduti nelle panchine
o in piedi a parlare con Dio
perché loro lo guardavano bene negli occhi Dio
e lo bestemmiavano e lui
li annientava e loro bestemmiavano
ancora con le urla e ancora e ancora
Com’era verde invece quel Parco Basaglia
pieno di fiori bagnati da gocce di pianto.
Io abbraccio gli alberi loro sanno il perché.

 
Altre Farfalle

Sto aspettando le farfalle
della primavera inoltrata,
mi porteranno via dal petto
le notti dei “perché tanto dolore”
perché ancora qui a vivere?
Sto aspettando le farfalle
colorate dal sole e dal caldo.
Sto aspettando la finta pace con le mie ossa,
per riavere un cammino spedito,
senza affanni, senza prendermi per il culo,
sto remando, piano, ma sto remando
per ritrovare lo sguardo illuminato.
Sto aspettando una farfalla
che mi traghetti nell’umore di prima
che sappia dove portarmi.
Perché neppure io so’ dove andare
per sorridere sdraiandomi.
Sono già stufo del dopo, dell’ora,
ho proprio bisogno dell’amica “serenità”.

 

Colombo

Vento salmastro che non arrivi mai a Gorizia
Lo scirocco arriva
già colmo di terre umide
o fumi di ciminiere
ol puzzolente gas di scarico
d’automobili e camion.
Son stagioni esili, consumate,
fallimenti di giorni
con promesse di sole condannate alla monotonia.
Sta dentro il vissuto quel poco che rimane
in memoria instabile degli occhi appannati
e un corpo offeso che ha iniziato l’attesa.
Come un vecchio colombo
solo in un angolo, al riparo da tutto
e la testa incassata nel tronco
in attesa di una fine qualunque
purché presto.

 
Al Mare

Ti vedo parlare nell’acqua
con la signora istriana di Visinada,
infilata nell’inaccettabile,
ridicolo salvagente azzurro.
Racconterete di passati normali,
di fatti che accadono a tutti
di niente di stravolgente.
Queste sono le conversazioni estive.
Le meduse oggi ti lasciano in pace.
Senza accorgerti una barca fantasma
piena di pirati e di turisti, lascia
una scia che si confonde con l’orizzonte,
e una voglia di andare indietro con gli anni.
La spiaggia si affolla.
Vedo altri mezzi busti emergere incerti,
c’è distrazione, c’è incredulità in giro.
E tu? Tu come al solito
continui a parlare, parlare, parlare.
In me c’è la stessa tenerezza e serenità
che mi avvicina ad una pianta di violette.

 
Giuliana

Giuliana non distingue più
il giorno dalla notte
crede di essere un passero
ferito mortalmente,
qualche volta
Aveva una figlia
che le pitturava le unghie
ed era semplice vivere
con due ali,
qualche volta
Giuliana non chiede mai
non ha mai chiesto
le serve solo,
sigarette e caffè,
qualche volta
Guarda tutti
ma non vede più nessuno
sta nella sua maturata follia
con l’urlo strozzato dentro
qualche volta
Giuliana veste e si maschera
ma non si nasconde,
non nota le differenze,
canta “Comandante Che Guevara”,
qualche volta
Bestemmia a testa bassa
non si ricorda nemmeno più chi è Dio
e chi è stato a ridurla così
sdentata e allontanata
sempre
Giuliana, guardatevi in giro
è dentro di noi,
al mattino, negli occhi dello specchio,
dentro un pianto, in una disperazione,
sempre.
Arriverà il giorno che non la vedremo più
fisicamente per strada
ma basterà alzare lo sguardo
o specchiarsi al mattino
e sarà lì,
a volare con le gonne lunghe
o sopra ad un albero,
col suo sorriso nero e aspro.
Sempre.

 

Il problema del poi

Anche a fare un sacco di progetti
quando si realizzeranno più?
Ti prende la stanchezza
il sopravvento dei sogni irrealizzati
lo sconforto di non essere mai riuscito
mai
e quel poco che hai messo in cantiere
o non l’hai portato a termine
o si rivelato sbagliato
e poi quali progetti?
Con tutti questi anni sulle spalle e pochi davanti!
C’è da stare attenti ad andare di corpo tutte le mattine
ingurgitare centinaia di pastiglie
non mangiare troppo, non fare sforzi,
il mal di cuore …
insomma sto’ remando senza sapere verso dove
se tutto ha un senso sarebbe giusto anche capire
giusto capire …
e poi?
Già, il problema del poi.

 

Giallo al buio

Siamo state persone alte,
oggi non potrebbero mai raggiungerci
con occhi grandi e gambe lunghe.
Siamo state persone
dalla testa grande,
un enorme contenitore,
peccato che la paura quotidiana
e le braccia troppo piccole
non abbiano potuto far niente.
Che brutti Natali eredita mio figlio,
la tristezza di un giallo al buio
o di una lampadina bruciata.
Siamo state macchine difettose,
siamo state allontanate da idee mongolfiere,
siamo state fuochi pirotecnici mai accesi
ed ormai troppo vecchi per esplodere.

 

Ospedale di San Martino

Anche adesso, mi sei venuto a mente,
leggendo Sanguineti, che nel reparto speciale,
dell’ospedale San Martino di Genova
sentiva cantare una canzonetta,
e sono già quindici anni che sei morto.
Babbo.
Ho un conflitto dentro che rinasce
ogni tanto, come oggi,
è un cassetto che si apre da solo,
quando inciampo in qualcosa di genovese.
San Martino, quelle cellette mortuarie
buie, dove i pianti non hanno risposte
e non si spengono mai.
Lì è rimasto l’ultimo mio sguardo
al tuo viso, alle mani, ai pochi capelli
a quell’abito grigio mio dismesso
che indossavi dentro la cassa.
Ho il rammarico nel non averti riconosciuto,
tanto la malattia ti aveva cambiato,
ora è poco male, poco male.
Conservo ancora una foglia d’alloro
di un rametto messoti da qualcuno
nel taschino della giacca,
lo ritrovo qualche volta tra le cose
che rifiuto di tenere a portata di mano.
Mi ricorda per qualche motivo
a me sconosciuto il tuo camminare,
la mano in tasca,
le gambe storte e il tuo sorriso
con un dente d’acciaio.
Non mi hai dato niente, ma proprio niente
babbo, solo un certo vuoto che non riesco a riempire
ed un dolore al pomo d’Adamo.

 

Al mattino presto

Amo chiamarti, amore, nella notte,
svegliarti e romperti i coglioni
per dirti che, anche se la mia vita fosse stata
soltanto i dieci anni passati con te,
avrebbe ugualmente un senso,
svegliarti per guardare ancora i tuoi occhi,
oppure per strapparti un altro sorriso.
Tra poco darò il mio contributo all’aurora.
Andrò alla finestra che dà sul condominio rosso,
cercherò d’invitarti a vivere il mattino,
cercherò di spiegarti perché ti sveglio,
so che mi dirai che sono un matto,
ti girerai cercando la mia mano
e continuerai a dormire.
Allora tornerò alla finestra a palpitare anche per te
con uno sguardo verso l’odierno nascituro,
ed un’altro a te,
pensando per un momento
d’essermi sostituito al tuo angelo custode.

 

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