È nato il 13 giugno 1961 a Venezia, dove vive e risiede. Laureato in Lettere nel 1987 presso l’Università di Ca’ Foscari con una tesi sul commento trecentesco di Francesco da Buti alla “Commedia” di Dante, pubblicata nel 1993 dall’editore “Il Cardo” di Venezia, ha conseguito nel 1998 il titolo di dottore di ricerca in “Filologia e tecniche dell’interpretazione” con una tesi sulla circolazione delle opere dantesche nel Quattrocento italiano. Svolge attività di ricerca e critica letteraria in collaborazione con la Facoltà di Lettere di Venezia. Insegna dal 1988 Materie Letterarie negli Istituti superiori statali.
Ha coltivato fin dalla giovinezza l’amore per la poesia, scrivendo componimenti – ripensati e rivisti più volte nel corso degli anni – in lingua e in dialetto veneziano dove cerca di esprimere una visione pensosa e malinconica della condizione umana, in un linguaggio che spesso attinge motivi, suggestioni e immagini dall’ambiente veneziano, soprattutto nella sua dimensione invernale e notturna che gli trasmette un sentimento di vuoto e di abbandono, di irrimediabile solitudine di uomini e cose, diventando, nelle sue liriche, dolorosa metafora esistenziale.
Ha iniziato solo negli ultimi anni a togliere dal cassetto i suoi versi ed a presentarli – pur non sentendosi affatto “poeta” – in pubblico, partecipando a Concorsi locali e nazionali di Poesia con esiti lusinghieri.
Alcune sue liriche, in italiano e in veneziano, sono state premiate nell’edizione del 1995 del “Premio Poesia Mestre”, in quelle del 1998, 1999 e 2001 del “Premio di Poesia ‘Renato Nardi’” di Venezia, nell’edizione del 2000 del “Premio di Poesia ‘Walter Tobagi'” di Venezia; una breve silloge in lingua è stata segnalata nell’edizione del 2001 del “Premio letterario ‘Leone di Muggia’” di Trieste. Si è classificato quarto al “Premio nazionale di Poesia ‘Age Bassi'” 2002 con la lirica “A mia madre” e 9° al “Premio nazionale di Poesia Poeti dell’Adda 2002” con la lirica “Da solo e in silenzio” Suoi componimenti sono stati pubblicati in varie antologie.
Francesco Sassetto con Incontro è risultato 9° classificato al Premio Age Bassi Castiraga Vidardo 2003
Con la poesia Parole è risultato 2° class. al Premio Angela Starace 2003
Con “Fino all’ultimo ponte” 7° classificato ex aequo al Premio Marguerite Yourcenar 2004
Francesco Sassetto nel mese di settembre 2004 ha pubblicato con la casa editrice Montedit “Da solo e in silenzio – poesie in lingua e in dialetto veneziano” – Collana Le schegge d’oro in quanto l’autore è 2° classificato nel concorso letterario “Angela Starace” 2003
Notturno
Vorrei che un passante solitario
in una sera abbandonata e scura,
quando ritornando, la testa frastornata
di risa e di parole più non penso,
recasse con sè, dono tanto atteso,
la notizia della mia ventura,
mi svelasse che non sei tu,
mia ombra, il mio solo senso.
E non fosse cifra oscura,
formula o teorema quel messaggio,
ma si leggesse chiara
come fede da seguire la certezza
che essere soli non è nostra condanna,
che non siamo fantasmi di passaggio.
La luna s’offusca tra le nubi
nell’aria che s’annera, mentre sciaborda
ancora sulle rive monotono il frangente,
unica voce, questa,
alla mia muta preghiera, cantilena
antica ai viaggiatori della terra
soliti andare,
ponte dopo ponte,
senza sperare, senza sapere niente.
1° Premio (sez. unica in lingua) nella 18° edizione del 1998 del “Premio Nazionale di Poesia ‘Renato Nardi’” di Venezia
Pensando a mio padre
Se accanto avessi mio Padre
quando cala la nebbia
sulla Piazza deserta e s’offusca
ogni luce tra gelide gocce,
avrei forse la sua scarna saggezza,
la sua semplice voce
a dirmi la strada da fare.
Ma mio Padre nell’isola verde
riposa il suo giovane corpo
di stancato operaio, nel mito
che quanti ne conobbero gli occhi
mi dissero dei suoi pochi anni.
E a me solo rimane il dolore
di non saperne che il nome,
una memoria che ignoro e nessun
ricordo su cui crescere un fiore.
Pubblicata in una silloge di 5 poesie segnalata nella 20° edizione del 2001 del “Premio Letterario ‘Leone di Muggia’” di Tries
In rada
Ti vardi ‘sta barca che l’onda caressa
co ‘l legno che poco a poco s’imarsisse:
passarà ‘l tempo e no sarà più la stessa
come tute le robe che more e che finisse.
La vita xe ‘sto flusso d’acqua scura
che sbate su i pagioi e li destaca,
xe ‘sta topa che no sa altra ventura
che ‘l palo che la liga, l’onda che la straca.
Poesia in dialetto veneziano che si è aggiudicata il 3° Premio (sez. in dialetto) alla Terza Biennale del 1995 del “Premio Poesia Mestre”
Traduzione letterale:
Guardi questa barca che l’onda carezza
col legno che poco a poco marcisce:
passerà il tempo e non sarà più la stessa
come tutte le cose che muoiono e finiscono.
La vita è questo flusso d’acqua scura
che sbatte sui paglioli e li stacca,
è questa topa che non sa altra ventura
che il palo che la lega, l’onda che la stanca.
NOTA: il vocabolo “pagliolo” indica, nell’uso odierno del dialetto veneziano, le tavole amovibili che costituiscono il fondo di un’imbarcazione.
Il vocabolo “topa” indica un’imbarcazione di contenute dimensioni, molto comune a Venezia.
Omeni
Semo fati de carne e de sangue,
de suòr, de fadiga e stanchessa,
de lagrime, de vogia de amor,
de una sola caressa.
Semo fati de sogni sbregàì,
de cari visi andài via,
de giorni butài,
de ricordi co ‘l tempo
sempre un fià più sfogài.
Ne supia in boca el calìgo
de prima matina,
de note ne varda la luna
rifar i passi segnai
da la strica de ciaro
che manda i fanali.
Tante domande ne rodola
in testa,
risposte nissuna.
Do pìe ne tien fermi
tacài a ‘sta tera,
ma co i oci andemo nel cielo
a spiar de sera
corar alti i cocài.
Poesia in dialetto in veneziano che ha ottenuto il 2° Premio (sez. in dialetto) nella 19° edizione del 1999 del già menzionato “Premio Nazionale di Poesia ‘R. Nardi’” di Venezia
Uomini
Siamo fatti di carne e di sangue,
di sudore, di fatica e stanchezza,
di lacrime, di voglia d’amore,
di una sola carezza.
Siamo fatti di sogni spezzati,
di cari visi andati via,
di giorni buttati,
di ricordi col tempo
sempre un po’ più sfocati.
Ci soffia in bocca la nebbia
al primo mattino,
di notte ci guarda la luna
rifare i passi segnati
dalla striscia di chiaro
che manda i fanali.
Tante domande ci rotolano
in testa,
risposte nessuna.
Due piedi ci tengono fermi
attaccati a questa terra,
ma con gli occhi andiamo nel cielo
a spiare di sera
correre alti i gabbiani.