Tomada Francesco

2015-07-03 21.17.08_thumb insegnante, biologia e chimica, e poeta vive a Gorizia. Co direttore artistico del festival Acque di acqua che per pudore ha voluto che questa serata rimanese fuori dal programma. partecipa a letture e incontri nazionali ed internazionali, così come a trasmissioni radiofoniche e televisive in Italia e all’estero. I suoi testi sono apparsi su numerose pubblicazioni, antologie, plaquettes e siti web in Italia, Austria, Slovenia, Canada, Francia, Slovacchia, Svizzera, Lituania, Messico, Spagna, Belgio, Bulgaria, Croazia. La sua prima raccolta, “L’infanzia vista da qui” (Sottomondo), è stata edita nel dicembre 2005 e ristampata nel marzo 2006. Nel 2007 ha vinto Premio Nazionale “Beppe Manfredi” per la migliore opera prima. La seconda raccolta, “A ogni cosa il suo nome” (Le Voci della Luna), è stata pubblicata nel dicembre 2008 ed ha ottenuto diversi riconoscimenti a livello nazionale (Premio Città di Salò, Premio Il Litorale, Premio Baghetta, Premio Anna Osti, Premio Gozzano, Premio Percoto). “Portarsi avanti con gli addii”, Raffaelli Editore

Bisogna sempre dare un nome alle cose, per meglio riconoscerle o per far sì che esse possano essere ricordate. Dare un nome – identificarlo – permette un accesso preciso, senza fraintendimenti e di conseguenza un riconoscimento normativo del reale. La nominazione è una forma di chiamata alla voce delle cose: Francesco Tomada ci trasmette figure orali e dà loro un corpo nominandole. Non solo chiama le cose come sono, le chiama perché siano. Non si balocca con le figure nelle quali trova paralleli col quotidiano (o sono il quotidiano), non crea ricami che possano risultare fuorvianti, ma salda il punto di osservazione con quanto osservato, vi fonde uno stato antecedente, vi trova uno stato antecedente, quanto esisteva prima che la coscienza ne fosse sollecitata, prima che le immagini avessero coesistenza col momento in cui l’immagine è riconosciuta. […] Per Tomada la lingua non è un attrezzo, non è uno strumento. Essa è la struttura stessa, la materia di cui siamo fatti. La scrittura quindi non avviene come ornamento formale: serve piuttosto ad evocare e quindi a generare forme. Forme che trovano nome e stato, evolvono da una intuizione divenendo reali per davvero. Ogni parola nasce dall’ascolto e solo dopo cade nella pagina che le darà il suo nuovo corpo. Tutto ha un nome, chiarissimo e inequivocabile. […] Inscindibile dalla nominazione, per Tomada è il rapporto con la storia e di conseguenza con la memoria: egli sa che la memoria è pienamente inserita nella storia, anzi, essa ne determina il persistere quando diventa collettiva e trasforma l’evento storico in evento “vissuto” che assume così tutt’altra forma e diviene elemento di significazione. La rappresentazione – che avviene nei testi – ci porta in un mondo legato ad una diacronia sospesa fra una dimensione apparentemente astratta (passato) e l’altra (presente) in cui la prima “assume forma totale e concreta” nel momento in cui diventa fatto narrato.

La memoria – e la storia da essa “lavorata” nella vita quotidiana, intrisa di grandi narrazioni e piccoli eventi – non è che l’insieme dei frammenti che compongono il corso della vita, il passato in vista del presente: dunque, la memoria costituisce la nostra identità. […]

Dalla prefazione, Chiamare le cose perché siano, di Fabiano Alborghetti)

 

Le donne della Seleco

Io le ho viste uscire di sera
camminando ma senza toccare il suolo
guardando i lampioni ma senza vedere
la luce e mentre svanivano le ho
immaginate aprire la porta
baciare i figli scaldare in forno
la cena e poi ripulirsi e a volte
giacere sotto un marito qualsiasi
con l’aria di chi da anni ha imparato
quanto manca alla fine del giorno

Dal medico, in sala d’attesa
La ragazza sordomuta chiacchierava con sua madre
si può dire “chiacchierare” per chi si esprime a gesti?
aveva nelle mani la grazia delle adolescenti
mentre i movimenti diventavano parole

io cercavo di intuire il senso o almeno
se c’era un tono di rabbia o quiete o domanda
come nelle nostre voci

i suoi lineamenti non sembravano di qui
Veniamo da Belgrado
dopo mi ha raccontato la donna

e parlate una lingua più che straniera
per questo non capisco
è la sola lingua in cui nessuno

nessuno può gridare

2 pensieri su “Tomada Francesco

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