Luigi Natale, nato a Orotelli (NUORO), paese del grande Salvatore Cambosu, si è dedicato alla poesia a tempo pieno dopo una brillante carriera calcistica da professionista (serie A col Cagliari, Nazionale Juniores Under 18). Di formazione umanistica, lavora poi nel campo della comunicazione come Focus Manager per grandi aziende italiane. Vive a Pordenone.
Ha pubblicato alcune sillogi poetiche: Ospite del Tempo (1988) con un importante saggio introduttivo di Enzo Dematté; Il Telaio dell’Ombra (2001) con prologo di Mario Luzi; Orizzonti Sottili (2005); L’orlo del mondo (2012) con introduzione di Giuliano Ladolfi.
Alcune sue poesie sono state tradotte e pubblicate in prestigiose riviste internazionali. Il suo lavoro è molto apprezzato da critici e poeti italiani, fra cui Giorgio Barberi Squarotti, Mario Luzi, Paola Lucarini Poggi, Claudio Magris, Bino Rebellato, Donatella Tesi, Lisa Rizzoli, Mario Domenichelli, Maria Carla Papini, Enzo Mazza ed altri.
“Nomade” per vocazione e passione, Luigi Natale ama viaggiare in terre lontane – India, Australia, Africa e Asia – ma è rimasto sempre legato alla sua amata Sardegna. L’umanità di radice sarda del poeta prescinde dal legame con le origini, per moltiplicarsi in mille sfaccettature, di cui l’Isola è scrigno e grembo.
La luce dell’ultimo sguardo
in quale mormorio d’acque ritornerà.
La madre di mia madre
è fatta d’alberi d’olivo
se non la tocca nessuno
nell’immobilità
scende lungo il fiume
per farsi vedere.
Ogni volta che qualcuno la guarda
l’oro dell’asfodelo si riempie di silenzio.
L’inverno dà più nomi e meno cose ai sognatori
e chi non lascia tracce sulla neve
muore ogni sera in stanze diverse.
Nei vicoli quando il cielo è sparito
le donne stringono al petto, per un momento
i loro bambini, come il frumento.
L’orlo del mondo
Il lungo sorriso del suo sogno
ha appeso per un filo d’oro un angelo
la lucertola sull’antico sentiero
è l’ultima stella caduta
la bambina che al sole dorme si copre di neve
mentre la sua esile mano
tiene saldo l’orlo del mondo.
(A Lara)
Dentro quest’onda
Attraverso una strada bruciata dal sole
dentro quest’onda barcollo
il silenzio di una parola è una porta senza gancio
trattenuta da un respiro.
Dai campi sale in aria l’odore dei meloni
la terra si celebra nei canti dei grilli.
Sono solo un albero che sogna la sua ombra
dentro un calice d’oro nel secolo futuro.
La donna armena
Si riempie di fango la cupola d’oro
dentro le colonne del tramonto
la storia che si vuole eterna
rotola sul selciato
in un barattolo di latta.
Il gatto sul tappeto non si sveglia alle parole
le lingue delle spade sono conficcate
in un cesto di cipolle.
L’ombra che attraversa la piazza
ha il peso di una carta stagnola
che avvolge un mazzo di mimose.
Senza vanità, in un giro di frange,
la donna armena si scrolla imperi dallo scialle.